La danzaterapia può davvero cambiare le sensazioni, la danzaterapia con persone non vedenti diventa esperienza.
Il cieco sperimenta il vento per l’impatto che esso ha sul suo corpo e per i suoni che esso orchestra tra gli alberi.
J.Hull
La danza nasce dal respiro. Se il vento è come un respiro e la danza nasce dal respiro, potrebbe il cieco sperimentare la danza attraverso il respiro nel suo corpo?
La musica può diventare un elemento unificante con le altre persone, come il vento che muove gli alberi?
Da parecchi anni lavoro con non-vedenti. Un’immagine sintetizza la mia esperienza: il sorriso di Elisabetta.

In generale il sorriso nasce in risposta a quello di un’altra persona ma per Elisabetta, 70 anni, cieca da 50, il sorriso nasce dalla musica. Entra nella sala danza incespicando, ancora un po’ disorientata. Piano piano trova i riferimenti spaziali, incontra gli altri, talvolta ricevendone aiuto, talvolta reclamando il suo bisogno di solitudine, cioè di non essere aiutata “.
Ho soltanto – dichiara – bisogno del mio tempo!” Si apre, respira la musica e sorride, i suoi occhi si accendono e il senso di pace che irradia è un nutrimento spirituale per tutto il gruppo. La questione “contatto” è molto delicata. Quando ne parlai con la direttrice di un istituto per ciechi venni quasi aggredita: “ Lei pensa forse che noi ciechi siamo tutti uguali? Il contatto non è innato, il contatto si impara!”
Per imparare ci vuole il giusto tempo e in Danzaterapia ognuno, pur essendo parte di un gruppo, ha diritto al proprio tempo. Il tempo di prendere contatto con sé, con i materiali, con la musica e anche con gli altri. Un tempo-spazio che protegge e aiuta tutti, non solo chi non vede.
Quando entriamo in relazione corporea con qualcuno senza vederlo, per esempio quando veniamo urtati, la sensazione è sgradevole perché inattesa. Se invece guardiamo l’altro e intenzionalmente veniamo a contatto, la cosa è ben diversa. Un cieco è sempre nel buio e noi per lui siamo buio finché non parliamo.
“Quando sei cieco, una mano ti afferra all’improvviso, una voce uscita dal nulla si rivolge a te: non c’è schermaglia, non c’è preliminare: io sono afferrato, io sono salutato”.
Per un cieco noi siamo immersi nel buio; egli non coglie tutte le sfumature del nostro linguaggio corporeo, i cenni, i gesti, i sorrisi di saluto. Non vede le altre persone né il terapeuta, quindi è escluso qualsiasi procedimento imitativo.
L’empatia è a un altro livello. Se diamo la mano a un cieco, la nostra intenzione si canalizza nella mano; da lì si può cominciare a sentire se c’è un reciproco senso di fiducia. Eppure non è sempre necessario toccare, meglio lasciarsi andare a percepire noi stessi in relazione all’altro che rimane così libero di essere ciò che è.
Quando le persone danzano, gli incontri si verificano in modo naturale ed è il comune sentire a mettere in relazione.
La musica è un riferimento importante per tutti, ma nel caso dei non vedenti, essa è il soffio che permette di vedere la danza, la trama su cui leggere il racconto comune, l’ordito che tiene insieme il racconto di sé. Attraverso l’ascolto del respiro si entra in contatto profondo con noi stessi e da lì può prendere forma una danza in cui ognuno realizza le diverse possibilità.
Articolo scritto da Elena Cerruto
